Storia

Volendo tracciare una breve storia della diffusione della Psicologia di Comunità (PdC) in Italia, si deve risalire alla fine degli anni ’70, e in specifico all’uscita del volume Psicologia di comunità (Francescato, 1977), in cui venivano presentati per la prima volta al pubblico italiano gli schemi concettuali e le strategie di intervento di questa “nuova” disciplina, così come si stava configurando negli Stati Uniti, riportandone esempi di applicazione, strumenti operativi e posizioni differenziate (tra ala moderata e ala radicale). Nel 1979 e nel 1980 si tennero rispettivamente il 1° e il 2° Convegno Italiano di psicologia di comunità, in un piccolo paese del bresciano (Molinetto di Mazzano), i cui lavori testimoniarono l’esistenza “di fatto” di un numero consistente di psicologi (ma anche di educatori, operatori sociali, animatori) che già lavoravano in un’ottica di psicologia di comunità ed erano impegnati a fare una psicologia concreta, centrata sui bisogni dei gruppi, delle organizzazioni e delle collettività, con il fine di migliorare la qualità di vita delle persone (Contessa e Sberna 1981). Emergevano già allora con una certa chiarezza alcuni elementi distintivi dell’identità di uno psicologo di comunità: privilegiare la prevenzione, lavorare insieme agli utenti, incoraggiandone la partecipazione, operare nel territorio, inteso come sistema, cioè un insieme complesso e organizzato in cui ciascuna parte va connessa con le altre; utilizzare strategie diversificate dalla ricerca-intervento all’animazione socio-culturale, dalla consulenza agli interventi di educazione permanente. Al 1° convegno partecipò anche Mike Bender, responsabile dei servizi psicologici del distretto di Newham, a Londra, autore di un agile volume Psicologia di comunità tradotto in italiano nel 1979, in cui venivano riportati esempi di intervento degli psicologi nella comunità britannica. In questo clima culturale fine anni ’70, caratterizzato da una grande vivacità intellettuale, che si espresse in forma di movimenti collettivi contro lo status quo (ricordiamo il movimento studentesco, il movimento femminista, il movimento attorno a Psichiatria Democratica) e da sperimentazioni interessanti nel settore sociale, sanitario e psichiatrico, sollecitati dalla conoscenza della letteratura nordamericana, in cui si ritrovavano idee e strategie parzialmente in sintonia con quanto si stava realizzando nel nostro contesto, ritenemmo importante dar conto di quanto stava maturando nella realtà italiana e proporre una visione contestualizzata di questo nuovo approccio. Nel 1980 uscì Psicologia sociale di comunità (di Palmonari e Zani), che già nel titolo proponeva una precisa presa di posizione in merito: l’obiettivo dichiarato era quello di offrire un contributo specifico alla realizzazione dei servizi socio-sanitari territoriali, mediante l’elaborazione di un programma ragionato per il lavoro dello psicologo in tali servizi , delineando i punti essenziali di un nuovo modo di impiegare la psicologia, per affrontare i problemi della comunità locale, tenendo ben presente le peculiarità della situazione italiana, per evitare il rischio di una mera trasposizione della psicologia di comunità di importazione anglosassone. Il percorso della istituzionalizzazione della disciplina è avvenuto per gradi: nel 1981 venne istituita la Divisione di PdC della Società Italiana di Psicologia (SIPs), che da quel momento organizzò incontri periodici molto frequentati (ad indicare un’attenzione particolare a queste tematiche) sia all’interno del congressi nazionali sia con iniziative autonome. Dal novembre 1994, anche in seguito alle vicissitudini della SIPs, la divisione si è trasformata in Società Italiana di Psicologia di Comunità (SIPCO). Da allora, la SIPCO, che si è dotata di uno Statuto, un Regolamento, un Codice Etico, organizza periodicamente convegni nazionali, iniziative seminariali, incontri di formazione per i soci “giovani”. Ha una Newsletter, una rivista Psicologia di comunità, un sito dedicato (www.sipco.it) in cui sono reperibili e scaricabili tutte le informazioni.

Ritornando alla storia e allo sviluppo della disciplina, nel 1986, con l’entrata in vigore del nuovo ordinamento del corso di laurea in Psicologia, venne istituito l’indirizzo di Psicologia clinica e di comunità, in cui l’insegnamento di PdC era materia fondamentale. Questo comportò che nel giro di pochi anni in tutto il territorio nazionale fossero istituiti insegnamenti della disciplina, anche in corsi di laurea affini (come scienze dell’educazione). Le successive e continue riforme degli studi universitari, che si sono succedute negli ultimi anni con modalità non sempre opportune, hanno modificato sostanzialmente il quadro attuale del curriculum degli psicologi: attualmente l’insegnamento è presente in numerosi corsi di studio di 1° e soprattutto di 2° livello (Laurea Magistrale) in almeno una trentina di sedi universitarie. L’offerta di corsi post lauream, a livello di master, dottorato o scuole di specializzazione è poco presente nel settore pubblico, mentre qualche opportunità esiste a livello privato, da parte di associazioni di professionisti.

(tratto da B.Zani (2012) (a cura di) Psicologia di comunità. Prospettive, idee, metodi. Carocci, Roma, cap.1 “Cinquant’anni di psicologia di comunità nel mondo”, pp.54-55).

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